"Marc, torni a casa per votare ?"
E’ una fredda primavera, quella
in cui la luce del giorno entra nel ventre caldo della caverna dov’è recluso lo
schiavo-cittadino. Lo chiamano da fuori, vorrebbero che uscisse, che agisse e
che votasse. Gli echi elettorali nascono sempre da voci profonde e ognuno nel suo
Io le conosce bene.
Ascoltare le proprie esigenze è
il primo passo verso la felicità: un posto di lavoro, un incarico, un
trasferimento, questi e pochi altri sono gli oggetti raffigurati sulla parete
della caverna.
Dall’altra parte ci sono gli
uomini già sull’uscio, che si voltano di tanto in tanto per non perdere di
vista le ombre e i muri che li hanno accolti fino ad ora. Sono legati alla
caverna perché ne conoscono il segreto e non se ne allontanerebbero se non
fosse strettamente necessario.
La caverna, e il suo mito,
funzionano così: una luce naturale entra dall’unica apertura sul lato destro
mentre gli oggetti d’argilla posti nel mezzo e investiti dalla luce proiettano
le proprie ombre sul fondo, giù a sinistra.
Gli schiavi non sospettano nulla,
perchè le cose e le ombre hanno qualcosa in comune e questo legame si chiama
“rappresentanza” (mimesis). Mentre non c’è nessuna rappresentanza tra gli
schiavi e gli altri uomini.
Abbiamo compilato degli elenchi
coi nostri desideri e li abbiamo chiamati liste. Quando si sono contrapposte
tra loro sono diventate partiti e ancora fazioni, o addirittura correnti.
Cosicché sul cammino verso il piccolo le voci di dentro sono diventati echi
lontani. Echi di lotta, politica, echi elettorali. Nella molteplice modulazione
di queste voci il significato stesso delle parole è stato logorato dagli slogan
urlati, spaccato nell’urto con gli altri, ed infine è sfumato nella distanza
storica dai fatti originari. Lontani da sè stessi e dall'Europa.
Un vento freddo entra nella
caverna, in questa primavera del 2012, e spegne il fuoco che proietta quelle
forme nitide sul muro. Lo schiavo ha perso il profilo netto delle cose, e non
ha più l’idea precisa di ciò che desidera. Crolla il mito della
“rappresentanza” e con esso il mito stesso del “sistema” caverna. Escono candidi,
infine, i progetti del Demiurgo che curava quel falò.
600 candidati alla carica di
consigliere sono un gran numero di desideri e un gran numero di voci crea più
baccano che dibattito. Le ombre sfocate sono desideri annacquati, poco chiari
per chi guarda e insieme estranei a quel concetto di “rappresentanza” che i
padri della Repubblica diedero agli eletti. Le ombre dei desideri, invece, sono
sempre di una nitidezza cherubina.
Comunque finiranno queste
elezioni ad ora l’unica certezza è che la democrazia ne uscirà ulteriormente
indebolita da una scelta eccessivamente frammentata, da una politica che trova
le ragioni di esistere nella divisione e nella “ricomposizione dei contrasti”,
dalla volontà dei partiti di essere ancora oggetti tangibili e non solo ombre
sbiadite.
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