martedì 11 settembre 2012

L'arte di smontare le cose (2)


(Adrenalina)



L'arte di smontare le cose (2a parte)
- racconto -



L'inglese fece scorrere la mano intorno al piattino seguendone il rilievo colorato con le dita. Così come la naturalezza dei gesti descrive le nostre azioni meccaniche solo fino a un certo punto, così l'indice si blocca su una fessura del contorno. Laddove la liscia rotondità del bianco è fessa da un triangolino scuro, punto in cui avviene lo sfregamento con altre decine di tazzine e sottobicchieri, lì si ferma la sua attenzione, e volse la testa verso la strada allo strillare dei bambini e iniziò un movimento impercettibile con l'unghia. 

Gli scolari si rincorrevano sul sentiero tra il fiume e il bosco alzando una nuvola di polvere che avvolgeva le seconde file. Visti da lì sembravano uno stormo di grembiulini strappati dal vento ai balconi delle case, e sospinti  nel campo come un pallone sfuggito alla partita. Lui li guardava divertito e indifferente. Finché dalla scia emersero dei contorni scuri, altri bambini rimasti un po' indietro, forse quattro. 
Hope strizzò gli occhi e gli apparvero i quattro: diversi, immobili e silenti nel flusso colorato che li conduceva. Attraversarono anch'essi la coltre di grida e scalpiccii che li separava dal Bar 2000 e incrociarono il suo sguardo. Uno di loro seguitò parlottando, gli altri sembrarono fermarsi. Il piccolo del gruppo si rovistò nelle tasche e poi tese le mani verso i suoi compagni dell'ultima fila, questi fecero altrettanto e dopo alcune frasi che sembravano gridate come ordini, si lanciò di corsa verso il bar. 
Hope lo accolse dalla sua scrivania di fòrmica sull'uscio e gli disse:"Ciao". Il ragazzino sorrise il suo saluto svelto e si avventò all'interno con la colletta tra le mani. Hope l'attese all'uscita, era di buonumore e ancor di più era curioso di scambiare almeno una battuta con una pulce danzante. 
"Buongiorno, cos'hai comprato?" 
"Mars, Raider e KitKat" disse il ragazzino per nulla spaventato dal tono serio del signore al tavolo, anzi aggiunse "se poi mi comprate voi l'ovetto, signo'?"
"Venite signora, please. Non ho capito cosa vorrebbe il ragazzo, ma per favore dategliene uno."
"L'ovetto Kindèr?" urlò la porta. 
"E ovetto sia" rispose. 
Marco "o'piccirill" sorrise ai compagni e gridò loro "aspettat' '". Un momento ed era di nuovo fuori, sotto il portico, con il suo piccolo regalo nella mano. Ringraziando il signore sull'uscio aggiunse: "ma voi non siete di qua, vero?".
"Vengo dalla Gran Bretagna" e vedendolo un po' perso chiese "conosci?".
Marco scosse la testa, sapeva di un'isola del nord Europa dove aveva giocato a calcio Grame Souness, ma quella era la Scozia. La figurina di Trevor Francis, invece, che valeva almeno altre tre Panini, sfoggiava la bandiera inglese (quella dell'Inghilterra!), malgrado il fatto che ora giocassero nella stessa squadra: confusione completa.
"Sono inglese" precisò. 
"Ahh, certo che conosco l'Inghilterra, per chi mi hai preso?" sorrise e si girò a cercare con lo sguardo gli amici lasciati ad aspettare e invece se li trovò addosso. Erano corsi anche loro verso il bar e stavano per strattonarlo per prendersi quanto dovuto. Un groviglio di mani si avventò sul bottino. I bastoncini colorati strappati via come more dal cespe e poi un fragore di carta, plastica, gridolini e risate.
"Mio" urlò Marco "l'ovetto è mio!" e difendendo il suo diritto col gomito alzato, si girò per sfuggire alla presa. Gli saltò via dalla mano e cadde a terra. Girò lo sguardo agli altri, inarcò le sopracciglia e stava per azzuffarsi quando Hope entrò nel mezzo del cerchio costituito dai quattro.
L'inglese raccolse l'ovetto, floscio ormai come un palloncino sgonfiato, e lo ravvivò tra le mani. Si chinò portando lo sguardo all'altezza dei suoi giovani interlocutori e chiese: 
"Chi sarebbe così gentile da spiegarmi la differenza tra quest'uovo e gli altri? E' rotto, è sciolto o magari s'è sgonfiato?".
Il quartetto si guardava , Marco attento solo su ciò che rimaneva del suo uovo di cioccolato. Francesca e Jualid si scambiavano un suggerimento, erano dell'idea della rottura ma aspettavano di sapere cosa ne pensasse Hafsa, l'amica più grande, colei che parlava per prima. 
"Si è rotto, che domanda! Se non fosse caduto, invece..." alzò la testa Hafsa,
"...se fosse caduto, invece, in una padella?" replicò Hope.
"Avremmo rovesciato della Nutella a terra" di nuovo lei prontamente,
"E chi saprebbe ricomporre un uovo di Nutella?" le chiese Hope.
La portavoce restò in silenzio questa volta, e tra tutti solo Marco sembrava non essersi accorto del recente scambio di battute tra la sua compagna e lo sconosciuto benefattore, fin quando, continuando a fissare la mano piena di cioccolato e carta stagnola di Hope, esordì: 
"Saprei ricostruire quell'uovo, signore. Se me lo lascia fare, leccando i bordi, seguendo le linee e i contorni lo rifarei tondo, come gli altri." 
"Se si fosse sciolto, invece, potresti solo spalmarlo sul pane per mangiarlo, Marco. A quel punto il nostro uovo, pur conservando il suo gusto al cioccolato, avrebbe perso la sua rotondità." riprese Hope.
"Sarebbe diverso" aggiunse Marco,
"ma non nel gusto" replicò Francesca.
"Non così tanto" riprese Hafsa.

domenica 2 settembre 2012

Il castello di Santa Barbara (tributo a Jacques Prévert)

Ondina (particolare) - Bosch
Muovo gli occhi sul Mediterraneo
e mi sollevano le palme mosse
dal russare tronfio del cemento.

Rombano gli aerei sui saraghi Illuminati,
la luna falcia le caviglie e
cadono in soggiorno due amanti stranieri.

(Marc Dupree)


Marc torna dal suo ultimo viaggio con il bagaglio più leggero. Ha lasciato i libri che ha letto agli amici che incontrava sulla strada e tratteneva per sé solo alcune righe scritte a matita sul moleskine de toda la vida. Sul bordo ha disegnato un pesce e una coppia che cavalcandolo si tuffa in mare, come in viaggio verso un antico continente fulgido eppure dimenticato, lasciandoci con una domanda che non gli faremo mai: "non avrai incontrato l'ondina, Marc ?".
Questo frammento l'ha lasciato cadere a terra in corridoio, io e Max lo abbiamo letto, e al voltare la pagina era annotata una poesia di Prévert di sessant'anni prima.

Un'arancia sul tavolo 
Il tuo vestito sul tappeto 

E nel mio letto, tu 
Dolce dono del presente 
Frescura della notte 
Calore della mia vita.

Alicante, di Jacques Prévert