giovedì 26 aprile 2012

La nitidezza delle ombre (le ragioni della politica)


"Marc, torni a casa per votare ?"

E’ una fredda primavera, quella in cui la luce del giorno entra nel ventre caldo della caverna dov’è recluso lo schiavo-cittadino. Lo chiamano da fuori, vorrebbero che uscisse, che agisse e che votasse. Gli echi elettorali nascono sempre da voci profonde e ognuno nel suo Io le conosce bene.
Ascoltare le proprie esigenze è il primo passo verso la felicità: un posto di lavoro, un incarico, un trasferimento, questi e pochi altri sono gli oggetti raffigurati sulla parete della caverna.
Dall’altra parte ci sono gli uomini già sull’uscio, che si voltano di tanto in tanto per non perdere di vista le ombre e i muri che li hanno accolti fino ad ora. Sono legati alla caverna perché ne conoscono il segreto e non se ne allontanerebbero se non fosse strettamente necessario.

La caverna, e il suo mito, funzionano così: una luce naturale entra dall’unica apertura sul lato destro mentre gli oggetti d’argilla posti nel mezzo e investiti dalla luce proiettano le proprie ombre sul fondo, giù a sinistra.
Gli schiavi non sospettano nulla, perchè le cose e le ombre hanno qualcosa in comune e questo legame si chiama “rappresentanza” (mimesis). Mentre non c’è nessuna rappresentanza tra gli schiavi e gli altri uomini.
Abbiamo compilato degli elenchi coi nostri desideri e li abbiamo chiamati liste. Quando si sono contrapposte tra loro sono diventate partiti e ancora fazioni, o addirittura correnti. Cosicché sul cammino verso il piccolo le voci di dentro sono diventati echi lontani. Echi di lotta, politica, echi elettorali. Nella molteplice modulazione di queste voci il significato stesso delle parole è stato logorato dagli slogan urlati, spaccato nell’urto con gli altri, ed infine è sfumato nella distanza storica dai fatti originari. Lontani da sè stessi e dall'Europa.

Un vento freddo entra nella caverna, in questa primavera del 2012, e spegne il fuoco che proietta quelle forme nitide sul muro. Lo schiavo ha perso il profilo netto delle cose, e non ha più l’idea precisa di ciò che desidera. Crolla il mito della “rappresentanza” e con esso il mito stesso del “sistema” caverna. Escono candidi, infine, i progetti del Demiurgo che curava quel falò.
600 candidati alla carica di consigliere sono un gran numero di desideri e un gran numero di voci crea più baccano che dibattito. Le ombre sfocate sono desideri annacquati, poco chiari per chi guarda e insieme estranei a quel concetto di “rappresentanza” che i padri della Repubblica diedero agli eletti. Le ombre dei desideri, invece, sono sempre di una nitidezza cherubina.

Comunque finiranno queste elezioni ad ora l’unica certezza è che la democrazia ne uscirà ulteriormente indebolita da una scelta eccessivamente frammentata, da una politica che trova le ragioni di esistere nella divisione e nella “ricomposizione dei contrasti”, dalla volontà dei partiti di essere ancora oggetti tangibili e non solo ombre sbiadite.
  
L’opera occulta del Demiurgo platonico potrà ancora descrivere delle gustose delizie con neri coni d’ombra?